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Natale a 360°

Un racconto
particolarmente ottuso

 


Ai tempi d’oro della pubblicità – si sta parlando del secolo scorso, quando addirittura ci si incontrava di persona – le aziende usavano invitare le agenzie, e viceversa, per la festa di Natale.

Era una festa realmente inclusiva, prima ancora che fosse inventata la parola. Account e creativi, segretarie e direttori, clienti e fornitori: gente che durante l’anno, quotidianamente, si augurava lo sterminio dell’altrui discendenza, fornendo indicazioni particolareggiate su come estinguersi fra atroci dolori, si ritrovava per qualche ora a volersi bene, a scoprire inediti motivi di comprensione e di stima, condividendo aneddoti famigliari, salatini e spumante (il prosecco e i finger foods non esistevano ancora, il genere umano si nutriva essenzialmente di rucola).

Erano occasioni belle, dove persino le ragazze dell’amministrazione, in minigonna e scollatura, apparivano sotto una nuova luce.

E alla fine il babbo Natale aziendale distribuiva regali che il piano Marshall sembrava l’offertina alla messa di mezzanotte.

Noi, invece, andavamo a Val Bovarda, per la riunione di rinnovo del contratto.

Il 22 dicembre arrivava la telefonata:

Non è già che domani potete fare un salto qui? Così vediamo un po’ se c’è qualche programma per l’anno che viene o se dobbiamo pensarci noi da soli, che voi milanesi siete impegnati a sciare.

Il nostro Natale era quello: andavamo dal cliente e lui ci faceva la festa.

Si partiva all’alba in formazione tipo: titolare della piccola agenzia che aveva indissolubilmente legato le sorti della propria e altrui esistenza al budget del cliente, leader del turismo di massa; account di grande personalità, che Fantozzi al confronto era Nelson Mandela; creativo di belle speranze depositario della verità, custode della lingua, tuttologo universale, campione mondiale di modestia e di autocoscienza critica.

Per arrivare in Val Bovarda si percorreva la Torino – Savona, sedicente autostrada che al tempo aveva solo tre carreggiate, due per i sensi di marcia e una centrale riservata ai sorpassi e ai conseguenti frontali con morti e feriti.

Le tre ore del viaggio passavano nell’assoluto silenzio. Per concentrarsi non sulla strada – schiantarsi sarebbe stato il male minore – ma sugli argomenti da esibire al cospetto del cliente, al fine di: piano A irridere le sue considerazioni, costringerlo ad ammettere il proprio torto, umiliarlo davanti a tutto lo staff, ottenere il rinnovo del contratto quadruplicandone entità e durata; piano B evitare di farsi tirare tutto sui denti tra risa di scherno ed espressioni beffarde, col lavoro da rifare completamente durante le vacanze per presentare il due gennaio.

Quell’anno l’appuntamento era fissato alle 9 precise, “e cercate di arrivare puntuali che poi noi dobbiamo lavorare”.

Frontali o meno, alle 8 e 56 eravamo seduti in sala d’attesa.

E lì restammo, come al solito, fino alle undici meno un quarto. Nel frattempo, entravano in libera udienza dirigenti, quadri, impiegati, garzoni del bar con cappuccino e brioche (per uno), la moglie col barboncino, il meccanico con le chiavi della macchina “che se ha un minuto le spiego cos’aveva”.

Alla fine, anzi un po’ dopo, venne fatta entrare anche l’agenzia.

Scusate ma avevo da fare.

 

(Certo, s’immagini. Stavamo andando a lumache nei dintorni e abbiamo fatto un’improvvisata).

Vedete un po’ se volete sedervi, però com’è già, se mi avete portato delle cose di buon senso ci mettiamo poco, non c’è bisogno di far tante chiacchiere.

 

Così agevolato, si preparò a parlare l’indomito account. Tirò fuori dalla cartella il documento (114 pagine battute a macchina e fotocopiate in triplice copia), inforcò gli occhialini con montatura in oro, aprì la bocca.

Il cliente lo interruppe.

Ecco a proposito, non stia a farmi tutte le premesse che già le so meglio io di voi. Mi basta la sostanza. Come diceva già quella réclame, “What is the beef”, che carne è.

Sì, ah, ecco. Anche se a dire il vero era “Where is the beef”, cioè dove sta la sost…

Cosa c’entra dove. Dove stanno le vacche lo sappiamo benissimo, qui ce le abbiamo dappertutto, cosa crede. Quello che conta è che vacche sono, se son buone o no. Non siamo a Milano neh, che non sapete distinguere una fassona da un pappagallo.

 

Attimo di resettaggio cerebrale. Dopo un’impercettibile deglutizione, l’account riaprì la bocca.

Il cliente lo interruppe.

Sì però adesso mi dica in due parole cosa avete in mente, che spero non siate venuti fino a qui per parlare solo delle mucche.

Certo Dottore, si figuri. Ecco, noi abbiamo impostato un piano generale di comunicazione per il prossimo triennio, che parte da una ridefinizione del posizionamento strategico per arrivare a un ripensamento della creatività che tenga conto di ..

Vede che non mi ascolta? Le ho detto due parole e me ne ha fatte mille tutte inutili. In pratica, cos’è già che volete fare?

 

Capendo che l’account non sarebbe mai venuto a capo di niente, e che servivano un tono e un piglio decisamente diversi, il creativo di belle speranze prese in mano la situazione.

In pratica, quello su cui dobbiamo puntare non è più l’astratto fascino della destinazione, ma i concreti vantaggi dell’offerta globale. Il messaggio dovrà essere: a chi vuole andare in vacanza, offriamo un servizio completo, a 360 gradi.

 

Il pugno del cliente si abbattè sulla scrivania come il martello di Thor. Sobbalzarono la tazzina, le briciole della brioche, le penne, gli occhiali dell’account e quel che restava del cuore degli altri.

Eccola là. Lo sapevo. Ci siete cascati.

Mummificazione istantanea del creativo e dei suoi sodali. Rewind mentale del discorso alla vana ricerca dell’errore. Lingua trasformata in un dolcevita di muflone islandese.

Provò a inserirsi l’account, con voce più alta di almeno due ottave:

Ma Dottore in che senso. Il rational… la sinergia… il documento..pur se ottimizzabile…

No guardi, non stia a cercar scuse. Ci siete cascati perché non siete abituati a ragionare. Siete bravi a fare le luminarie del Natale, ma il cervello lo tenete spento. Noi invece in campagna stiamo meno a far festa e di più a pensare alle cose. E così le capiamo prima di voi.

 

Appannamento progressivo degli occhiali. Organi interni che si scambiano vorticosamente di posto. Neuroni in fuga disordinata. Campagna? Quale campagna? Dovevamo portare la campagna? Ma non abbiamo neanche un’idea, mezzo layout. Cosa gli raccontiamo?

No ma forse non ci siamo capiti…è solo un modo dire..

E allora diciamolo nel modo giusto, santa polenta, perchè a me i vostri modi dire mi costano miliardi e non mi rendono un accidente! Se uno si gira di 360 gradi dove si ritrova? Si ritrova al punto di partenza! Non va da nessuna parte! Lo capite o no? Quello che dobbiamo dire è che il nostro servizio è il più completo perché è a 270 gradi. Non a 360: a 270! che si vede tutto il panorama, di qua, di là e anche un po’ di dietro. La gente, a noi, ci paga per fare i viaggi, non per girare su se stessa!

 

Il titolare della piccola agenzia capì che la presentazione era finita.

Si alzò, salutò con un cenno impercettibile del capo, uscì. Non aveva detto una parola per tutto il tempo, e così continuò a fare per l’intero viaggio di ritorno. Anzi, non aprì bocca nemmeno per i giorni seguenti. Tanto l’occhio vitreo e la faccia paonazza, da 180 di pressione, dicevano già tutto quello che c’era da dire.

Il pomeriggio del 24, col titolare chiuso nel suo ufficio insieme al direttore amministrativo, la gente uscì dall’agenzia alla spicciolata facendosi gli auguri sottovoce. Niente spumante, niente panettone, niente piano marshall.

Il 29 arrivò un pacchetto dalla Val Bovarda. C’era dentro un goniometro in ottone e un biglietto natalizio dell’Unicef con gli auguri del cliente:

“Con questo potete misurare gli angoli anche a Milano.”

 

Il titolare lo fissò in silenzio per qualche istante. Poi lo rifissò. Poi prese il biglietto e lo rilesse senza muovere un muscolo della faccia. Poi prese una matita e in bella calligrafia gli scrisse sotto:

“Grazie del gentile pensiero. Purtroppo non funziona: di ottuso misura solo gli angoli, non le persone.”

 

Rifece il pacchetto, lo consegnò alla segretaria, uscì dall’agenzia e – come tutti i milanesi – andò a sciare.

 

Testo pensato, scritto e vissuto
da Alberto Scotti
Direttore Creativo Senior
SEC Newgate Italia

Illustrazioni di Filippo Benzoni
Art Director Junior
SEC Newgate Italia
@_nobez_

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